lunedì 27 luglio 2009

Malattia

Ok, siamo alla frutta. Ricordate il giorno di ferie che avevo chiesto a Z? Beh, il destino sembrava avermi fatto un favore, inizialmente, quando la notte precedente sono stato male abbastanza da chiamare il medico la mattina dopo, il quale mi ha visitato e mi ha dato il giorno di riposo che agognavo… ma le cose non sarebbero state così rosee come pensavo.

Il giorno dopo quello di malattia, Z mi chiama nel suo ufficio e inizia nuovamente a minacciare il mio posto di lavoro, dicendo che non posso permettermi giorni di malattia. Naturalmente, non ha mancato di dirmi che non posso fare pausa e ha oltretutto aggiunto che, se non rimango a lavoro dopo l’orario di lavoro, saranno guai.

Z è proprio una gran bella persona… ed è anche intelligente!

mercoledì 15 luglio 2009

Il club dei viaggi all'estero

Ultimamente ho avuto l’impressione che i miei colleghi fossero tutti più allegri nonostante l’aumento della mole di lavoro (ma di questo aumento di lavoro, comunque, vorrei porre un attimo la vostra attenzione in seguito) e, ovviamente, mi sono chiesto come mai. Devo essere sincero, ho pensato, tra le tante cose, alla notizia che io potessi venire licenziato, come motivo della loro felicità e, a dirla tutta, è un’ipotesi che ancora non mi sento di scartare, alla luce delle recenti minacce velate fatte alla mia persona da Y e da Z. Tuttavia, oggi ho sentito che, per l’ennesima volta, alcuni miei colleghi andranno all’estero per lavoro. È la volta di A e B e, a quanto pare, pare che un altro viaggetto se lo faranno anche X, Y e Z. Inutile dirlo, tutto accade ovviamente alla faccia mia.

Ma non voglio che facciate ipotesi vaghe, quindi ecco la situazione attuale: mentre A e B lavorano con un ritmo tutt’altro che serrato, concedendosi pause su forum e chat o, in maniera ancora più evidente, chiacchierando con C, X, Y o Z, io vengo sommerso di incarichi che non sarebbe concepibile dare a una sola persona. Loro ridono e scherzano ogni volta che necessitano di fare una pausa e, di fatto, lo fanno molto, molto spesso. Una volta Z mi ha detto che lui non fa pause e che anche gli altri ragazzi non fanno pausa, ma è ovvio che sia così: che bisogno hanno loro di fare 15 minuti di pausa la mattina o il pomeriggio, quando ne fanno tranquillamente dai 30 minuti all’ora abbondante (se non di più) divertendosi tra loro? Facile venirmi a dire che non fanno pausa.

La mole di lavoro della quale parlavo prima è stata addossata sulla mia persona (dato che, a quanto pare, l’unico che sta lavorando è il collega con il quale condivido i compiti, ossia Y), dato che mi vengono passati la maggioranza degli impegni. Pensate che io e Y abbiamo tanto di quel lavoro da fare da non poterci permettere nemmeno un giorno di ferie… o, per meglio dire, io non posso permettermi un giorno di ferie (come ho detto nel post precedente) mentre Y può e, di fatto, lo ha già fatto giorni dopo la mia richiesta di ferie. È evidente che Z non ha gli stessi problemi che ha con me, nel concedere un giorno di assenza a Y.

In tutti i casi, il club dei viaggi è aperto e, di fatto, non passa un solo mese senza che qualcuno vada da qualche parte per un giorno o una settimana mentre io, ovviamente, non vengo mandato per un’ora neppure a vedere i fiori piantati fuori dall’ufficio. Forse qualcuno avrebbe il coraggio di venirmi a dire che fare un viaggio di lavoro è come andare a lavoro o peggio? Io vorrei conoscerla quella persona che, magari, inviata a Hong Kong per lavoro per una settimana, dicesse: “No, preferisco stare in ufficio a lavorare!”.

Beh, colpa mia: se leccassi i popò dei miei colleghi e fossi garbato con loro anche quando loro non lo sono con me, ora non sarei in questa situazione. Che stupido, sono.

Ferie

È diritto di ogni lavoratore (e quindi anche mio) quello di usufruire di un certo quantitativo di giorni di ferie e di ore di permesso. Ho inviato un’e-mail a Z. Il testo era, più o meno (no, non è testuale) il seguente:

Ho bisogno di XY luglio 2009 come giorno di ferie. Firmato K

Dato che in passato mi è capitato più volte di vedere le mie e-mail ignorate, ho fatto in modo di ricevere una conferma di avvenuta lettura. La conferma non è arrivata, ma mi è giunta, entro dieci minuti, la risposta:

Ma come, tra non molto andiamo in ferie e tu mi chiedi un giorno di ferie? Visto il lavoro che ci attende nei prossimi giorni non mi sembra il caso. Lo accetterò solo si tratta di una cosa urgente.

Ora, quello che mi chiedo io è: che cosa ha pensato, Z, leggendo la mia e-mail? Come dovrei interpretare la sua risposta? Forse che quando chiedo un giorno o un’ora di permesso, non lo faccio seriamente? Forse che devo giustificare le ferie e i permessi che ho di diritto e che, se in eccesso, poi sono loro stessi a spingermi a usare? Naturalmente non è così, che funziona, e ci mancherebbe altro. Il dipendente ha diritto a questi giorni non solo per motivi di salute, familiari, o per altre motivazioni altrettanto importanti, ma perfino per il semplice divertimento. Ma non solo: non è il dipendente a dover giustificare il motivo per il quale vuole il giorno di ferie o l’ora di permesso, ma è invece chi ha facoltà di dargli le ferie e i permessi a dirgli per quale motivo non può (da non confondere con non vuole) usufruirne in ogni circostanza.

Concludo: tralasciando il fatto che la sua e-mail non appare affatto distaccata come dovrebbe (e ci passo sopra perché non si può giudicare il tono di qualcosa di scritto), nonostante il suo “cioè” iniziale che la dice lunga, mi è stato negato il giorno di ferie. Sono state poste due motivazioni: la prima è che ci avviciniamo alle ferie, il secondo è che, avendo molto lavoro da fare, la mia richiesta non potrebbe essere esaudita, a meno che io non avessi delle buone ragioni… ma voi non avete notato una cosa strana? A me sembra sia stato usato un verbo al condizionale! Accidenti, quindi dovrei ribadire che la mia richiesta è seria… altrimenti, si penserà automaticamente che sia una buffonata, qualcosa di poco serio per cui non valga la pena di darmi il giorno di ferie! Tra l’altro, mi viene in mente che Z ha usufruito di una settimana di ferie, nel mese di luglio… strano, visto che siamo a ridosso delle vacanze.

Non ho risposto, naturalmente. Se fosse stato qualcun altro del mio ufficio, a fare tale richiesta, non avrebbe mai subito una simile opposizione, né gli sarebbe stato implicitamente richiesto di supplicare un giorno di ferie. Ma io sono evidentemente considerato una persona della quale non ci si può fidare o, almeno, Z non si fida di me… strano, visto che sto facendo come mi hanno ordinato di fare (sotto minaccia, vi ricordo): sto trattenendo la mia tristezza, perché non mi è concesso essere triste di fronte al loro comportamento ostile. Vorrebbero che sorridessi, ma almeno questo non voglio concederglielo: mi domando solo quanto impiegheranno prima che arrivino a minacciarmi allo scopo di farmi anche sorridere… a quanto pare comunque, avevo perfettamente ragione a non fidarmi di Z.

Z

Salve. Mi chiamo K e sono un lavoratore soddisfatto del proprio lavoro, ma non dei propri colleghi. Scrivo questo blog con il semplice scopo di sfogarmi e di riflettere su ciò che mi accade rileggendo poi quanto ho scritto, in modo da avere una visione più distaccata dell’accaduto.

Le persone con le quali lavoro sono A, B, C, X, Y e Z. Tenterò di analizzare l’accaduto senza soffermarmi troppo sulle considerazioni emotive, lasciando che la ragione parli da sola. Si tratta di un compito difficile, e lo ammetto, dato che sono, per natura, molto emotivo (se così non fosse, non sentirei la necessità di scrivere questo blog).

Leggere questo blog potrà risultare molto, molto difficile, dal momento che parlerò dei problemi che ho tentando non specificare troppo su cose e persone ma, lo ripeto, non è mio scopo divulgare queste mie sensazioni: scrivo nella speranza di stare meglio e augurandomi, rileggendo, di avere una visione più chiara di quello che mi accade.

Passiamo a delle brevi presentazioni: A e B sono due nuovi colleghi e C è la persona che più di recente è venuta in ufficio. X è un collega di grado superiore, mentre Y potrebbe essere definito il “secondo in comando”, in ufficio. Z, ovviamente, è il boss.

Come ho detto in precedenza, ho seri problemi con i miei colleghi i quali, facendo branco tra loro, mi hanno con il tempo escluso, utilizzando un comportamento ipocrita e vigliacco nei miei riguardi. Oggi sono una persona che entra in ufficio, si siede alla sua postazione senza guardare in faccia o salutare nessuno dei suoi colleghi (mentre saluti, strette di mano, scherzi e sorrisi non mancano mai con qualunque altra persona dell’azienda) e lavora sentendo musica fino alla fine dell’orario lavorativo, che segna l’inizio della mia vita sociale. Nell’ultimo mese mi è stata assegnata una mole di lavoro che va chiaramente ben oltre le mie possibilità fisiche: una quantità di compiti, prima attribuiti a diverse persone, ora sono nelle mie mani… e questo senza tener conto dei lavori che normalmente svolgevo e che ancora sono di mia competenza e, come se questo non bastasse, il fatto che vengo continuamente deviato dal mio lavoro per aiutare i miei colleghi (di solito Y) a svolgere i loro compiti! La conseguenza? Che, almeno in teoria, non dovrei alzare lo sguardo dal mio lavoro per un solo nanosecondo!

Mentre da un punto di vista puramente ideale il fatto che un lavoratore passi ogni secondo del proprio orario lavorativo immerso nei propri compiti sia giusto, guadando la cosa in maniera più razionale e, soprattutto, umana, non solo è impossibile, ma è anche ridicolo. Siamo persone ed è più che sensato che ci si distragga, di tanto in tanto. Ma mentre A, B, C, X, Y e Z possono tranquillamente distrarsi, scherzare tra loro, io non posso. Mi spiegherò meglio: oltre al fatto che, per via dei disaccordi dei quali ho parlato prima, nessuno in ufficio mi rivolgerebbe mai la parola o scherzerebbe con me (tranne, magari, per mostrare ipocritamente valori quali “collaborazione” e “sensibilità” che, per motivi che non spiegherò ora, sono certo non siano genuini, in queste persone), loro non sono così oberati di lavoro quanto lo sono io e, cosa non meno importante, sono autorizzati a fare una quantità di cose che invece sono precluse alla mia persona (pur avendo io non solo gli stessi diritti, ma anche più motivazioni – per esempio, non posso utilizzare determinati sistemi di comunicazione, come la chat, per risolvere problemi con colleghi di uffici siti in altre città… mentre loro possono chattare anche solo per puro diletto, anche se negano). Ma se state pensando che tutto questo sia ingiusto, trattenetevi, perché questa non è che la proverbiale punta dell’iceberg. Se riusciste a immaginare quanto una persona possa deprimersi per la situazione descritta, dopo averla subita (e subendola presentemente) per oltre un anno e mezzo, capirete perché, nei mesi scorsi, era mia abitudine entrare in ufficio, mettermi le cuffie e svolgere il mio lavoro a testa china, senza mai levare lo sguardo sulla stanza o sui colleghi: non volevo continuare a vedere i miei compagni di lavoro che si divertivano ogni volta desideravano staccare la spina, non volevo sentire le loro chiacchiere, spesso volte a parlar male di qualcuno, quando non parlassero di calcio, politica o del lavoro che, per sua natura, è anche motivo di discussioni personali. Non volevo essere testimone delle innegabili e incontestabili differenze lavorative che c’erano (e ci sono) tra me e loro. Volevo isolarmi, dato che non avevo ottenuto alcun modo per lavorare da solo (se non perdendo il mio lavoro). E così, qualche tempo fa, è arrivata l’ultima batosta: non certo “l’ultima” perché non ce ne saranno altre, ma solo intesa come “l’ultima cronologica” di una serie che, dovessi farne un elenco, mi porterebbe via giorni e giorni. Mi è stato detto che non era bene che io stessi giù e, a giustificare questa loro presa di posizione, mi è stato più volte detto di pensare alla cosa più importante: il mio lavoro.
“Cosa faresti, se lo perdessi? Pensa solo al tuo lavoro e fregatene degli altri, del loro comportamento.”

Io non so cosa state pensando voi, ma a me questa sembra una minaccia, bella e buona, di licenziamento, mascherata (nemmeno con tanta abilità, devo dire) con un consiglio che, in generale, è certamente ottimo ma che, nel caso specifico, è ipocrita. Infatti, se torniamo alla situazione da me descritta, con i miei colleghi che possono ridere e scherzare tra loro quando vogliono perché 1) sono amici tra loro 2) non hanno scadenze impossibili quanto le mie e quindi possono materialmente permettersi di scherzare quanto desiderano 3) si fanno favori di ogni genere, lavorativi e personali e 4) vanno in viaggi di lavoro ogni volta che possono, è facile rendersi conto di quanto sia ipocrita dirmi di non far caso a loro. È troppo facile. È come se un Re dicesse a un morto di fame di non badare al fatto che lui e la sua famiglia mangia tanto da buttare via metà del banchetto e di pensare solo al poco pane e acqua che possiede. Certo, razionalmente è giusto, lo ripeto, ma moralmente non lo è… e, inoltre, qui non abbiamo a che fare con distinzioni di alcun genere, in quanto a me spettano gli stessi diritti che spettano a loro. Ma, che io abbia dei diritti o meno, questi non mi vengono attribuiti e, di fatto, non sono più padrone di essere infelice. Invece devo essere sereno, in modo da rendere tranquillo il loro lavoro. Non importa, poi, se i colleghi mi mostrano il loro disprezzo, la loro ipocrisia, se mi fanno star male mostrandomi i loro favoritismi, la loro falsità, i privilegi che spettano solo ai membri del loro club elitario e che a me non spetteranno mai. Tutto questo non ha importanza, ma solo per me, mentre per loro il fatto che una persona li metta in cattiva luce con terzi che, entrando, potrebbero chiedersi come mai un membro dell’ufficio sta male, è una situazione insostenibile, nonostante possano venire sereni, consapevoli di lavorare ogni giorno tra amici. Non gli basta. Anche io devo contribuire alla loro serenità.

In tutto questo inferno, dovete sapere che, di tutte le persone che ci sono in ufficio, solo Z si è sempre impegnato per apparire socievole nei miei confronti, cordiale e, in alcuni casi, addirittura comprensivo. Di fatto, prima di venire consigliato verso un comportamento più sereno, era l’unica persona che consideravo amica. Certo, non razionalmente, visto che Z stesso mi ha ripetuto in più occasioni di non essere amico di nessuno, in ufficio. A tale proposito (e in altre circostanze), ho sempre notato delle evidenti discrepanze tra quello che diceva e quello che faceva, ma il fatto che si impegnasse così tanto (anche con risultati al di sotto della sufficienza) nel darmi supporto morale, mi faceva stare meglio. Forse perché era l’unico appiglio che avevo, forse no… non aveva importanza. Avevo sempre evitato di trarre conclusioni definitive sull’incoerenza insita nelle sue azioni, rispetto a parole e presunti pensieri che mi aveva esposto, fino a quando non sono stato gentilmente invitato a essere più ricettivo e cordiale nei confronti di gente che non è né ricettiva, né cordiale, nei miei riguardi.

Oggi entro in ufficio e sono costretto a essere condiscendente (sotto ogni punto di vista) con tutto quello che i miei colleghi mi propinano, giusto o sbagliato, corretto o scorretto, gentile o scortese, anche se poi devo essere testimone di quanto io faccia parte del loro lavoro e dell’ufficio solo quando è necessario (per loro), anche se poi devo vedere quanto la mia vita sociale in ufficio sia limitata a loro favore e a mio discapito. E così, alla fine, non posso più pensare a Z e illudermi che sia una persona che pensa ai miei interessi, morali o lavorativi che siano. Innanzitutto, nell’arco di tutto questo anno e mezzo nel quale ho avuto un numero esorbitante di problemi con i miei colleghi lui, Z, pur avendo sempre appoggiato loro a mio danno, non ha mai apportato giustificazioni razionali alle sue scelte di posizione: ogni volta gli parlavo di problemi concreti, facilmente verificabili e spesso incontestabili (come faccio io con voi in questo post, per esempio), e lui mi rispondeva che avevo una “visione sbagliata della situazione” o, addirittura, che ero paranoico. Ma perché? Questo non si è mai degnato di dirmelo, naturalmente… perché non poteva. Non ha mai potuto, né lui, né A, B, C, X o Y. Nessuno, di loro, ha mai avuto modo di dirmi perché avevo torto. Z mi ha detto, in seguito all’incredibile carico di lavoro che mi è stato dato, che anche agli altri miei colleghi sarebbe stato dato una simile mole di lavoro, specificando anche di cosa si trattava. Dopo due settimane il mio lavoro è cominciato (ed è cominciato in condizioni tali che sarebbe potuto essere oggetto di denuncia da mobbing, come vi racconterò in un altro post) e in questi giorni io sto lavorando a ritmo serrato, prendendomi le pause che mi spettano per spezzare l’incredibile tensione alla quale sono sottoposto… questo finché non troveranno una scusa per impedirmi di fare pausa, almeno. Ma in tutto questo, A, B, C, X e Y non hanno iniziato a fare il lavoro in questione e, di fatto, li vedo lavorare con i ritmi che hanno sempre avuto. Voi cosa pensereste? Z mi ha sempre detto di non essere amico di nessuno, qui in ufficio ma, di fatto, è più che amico di A, B, C, X e Y, con i quali scherza e che aiuta in ogni aspetto, lavorativo o personale. Nulla di male, obiettivamente, in questo fatto. Perché mi lamento, dunque? Perché ogni volta, nessuna esclusa, mi sono azzardato, illuso quale sono, a rendere pubblico un diverbio con qualcuno di loro, Z non ha mai esitato un solo istante ad attribuirmi sistematicamente la responsabilità e la colpa dell’accaduto: non è mai accaduto che un provvedimento venisse preso a mio favore, benché avessi ragione e, se pure io avrei potuto avere torto in tali occasioni, Z (o chiunque altro al suo posto) non si è mai degnato di spiegarmi il perché. Ma perché non spiegarmelo? La ragione più evidente è che io avessi ragione e, di conseguenza, che mi si dovesse attribuire la colpa senza poter dare spiegazioni.

Detto in altre parole, loro hanno ragione. Perché? Perché si.

Non esiste niente di più illogico, oltre che offensivo e degradante, che venire smentiti con una risposta simile. Pensateci: voi esponete una prova razionale, come il fatto che avete inciampato su una buccia di banana, e un altro vi dice che non è così. Voi gli chiedete: “Ma perché dici che non è come dico io?”
E lui: “Perché si”.